D:
1) Ai fini della iscrizione all’Ordine degli Ingegneri di una Società tra Professionisti, la compagine sociale può essere composta da un Professionista Ingegnere e un socio non professionista (insegnante di lettere)?
2) In caso di risposta affermativa alla precedente domanda, la partecipazione al capitale sociale dei soci deve essere tale da determinare la maggioranza semplice (es. Socio Ingegnere 51%) oppure qualificata (ad es. di due terzi) nelle deliberazioni o decisioni dei soci?
3) Per la forma sociale, fermo restando la presenza di socio Ingegnere e socio non professionista, oltre alla Srl (che è sicuramente possibile) è ammessa l’iscrizione di una Stp anche nella forma della: Srls? Società Semplice?
R: La risposta ai quesiti richiede di fare riferimento alla Legge n. 183/2011 nonché al D.M. n. 34/2013 contenente il “Regolamento in materia di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate”.
1) La prima questione riguarda la possibilità o meno che una Società tra Professionisti (STP) sia composta da un Professionista Ingegnere e da un socio non professionista, nel caso di specie un insegnante di lettere. Sul punto, l’art. 10 co. 4 della L. n. 183/2011 espressamente prevede che: “Possono assumere la qualifica di società tra professionisti le società il cui atto costitutivo preveda: […] b) l’ammissione in qualità di soci dei soli professionisti iscritti ad ordini, albi e collegi […] ovvero soggetti non professionisti soltanto per prestazioni tecniche, o per finalità di investimento.” Alla luce del dettato normativo, la risposta al primo quesito risulta essere positiva: possono essere soci della STP i soci professionisti (che sono soci necessari) e i soci non professionisti, che svolgono prestazioni tecniche (sostanzialmente mansioni ancillari rispetto all’attività della STP) oppure partecipano al solo scopo di investimento (c.d. soci investitori). Si rammenta che, a norma dell’art. 6 del D.M. n. 34/2013 “Il socio per finalità d’investimento può far parte di una società professionale solo quando: a) sia in possesso dei requisiti di onorabilità previsti per l’iscrizione all’albo professionale cui la società è iscritta ai sensi dell’articolo 8 del presente regolamento; b) non abbia riportato condanne definitive per una pena pari o superiore a due anni di reclusione per la commissione di un reato non colposo e salvo che non sia intervenuta riabilitazione; c) non sia stato cancellato da un albo professionale per motivi disciplinari. Costituisce requisito di onorabilità ai sensi del comma 3 la mancata applicazione, anche in primo grado, di misure di prevenzione personali o reali.”
2) Quanto alla seconda questione, riguardante la partecipazione al capitale sociale dei soci, l’art. 10 co. 3 lett. b) prevede che: “[…] In ogni caso il numero dei soci professionisti e la partecipazione al capitale sociale dei professionisti deve essere tale da determinare la maggioranza di due terzi nelle deliberazioni o decisioni dei soci; il venir meno di tale condizione costituisce causa di scioglimento della società e il consiglio dell’ordine o collegio professionale presso il quale è iscritta la società procede alla cancellazione della stessa dall’albo, salvo che la società non abbia provveduto a ristabilire la prevalenza dei soci professionisti nel termine perentorio di sei mesi.” La formulazione normativa, tuttavia, ha dato adito, soprattutto in passato, a dubbi interpretativi, sul fatto se fosse necessario che entrambi i requisiti (maggioranza nel numero e nel capitale) sussistessero cumulativamente. La dottrina appare prevalente nel senso che i soci professionisti possono essere meno dei due terzi, purchè vengano adottate pattuizioni societarie tali da garantire agli stessi i due terzi dei voti; in questo senso appare anche la prassi notarile. Anche l’Autorità Garante della Concorrenza (Antitrust) ha ritenuto che debba privilegiarsi l’interpretazione della norma, secondo la quale i due requisiti della maggioranza dei due terzi “per teste” e “per quote di capitale” di cui all’art. 10, co. 4, lett. b) L. n. 183/2011 non vengono considerati cumulativi; ciò in considerazione della ratio sottesa alla norma, rappresentata dalla necessità di limitare la capacità decisionale dei soci non professionisti, evitando che questi ultimi possano influire sulle scelte strategiche della STP e sullo svolgimento delle prestazioni professionali. Detto obiettivo può essere assicurato ricorrendo ai diversi strumenti previsti dal codice civile che consentono di limitare o espandere i diritti e i poteri ai soci in relazione al tipo di società scelta e alla relativa governance.
3) Per il quesito in merito alla forma societaria che può assumere la STP, l’art. 10, co. 3 della L. n. 183/2011 prevede che “E’ consentita la costituzione di società per l’esercizio di attività professionali regolamentate nel sistema ordinistico secondo i modelli societari regolati dai titoli V e VI del libro V del codice civile. Le società cooperative di professionisti sono costituite da un numero di soci non inferiore a tre.” La norma consente quindi di far ricorso sia ai modelli personalistici, sia a quelli capitalistici, nonché al modello cooperativo: pertanto è possibile una STP nella forma della Società Semplice. Controversa è invece la questione se il generico rinvio effettuato ai modelli societari del Titolo V dall’art. 10, co. 3 della L. n. 183/2011 consenta di includere anche le società a responsabilità semplificata di cui all’art. 2463 bis c.c., attesa la peculiare disciplina che caratterizza detto modello societario e quanto previsto all’art. 10, co. 4 della L. n. 183/2011, che impone l’adozione nell’atto costitutivo della STP di clausole statutarie pattizie non contemplate nel modello standard delle Srls. Sul punto, il Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili, con la circolare n. 32/IR del 13.07.2013, ha ritenuto che “il generico rinvio ai modelli societari di cui al titolo V dall’art. 10, comma 3, della legge n. 183/2011, consente di includere anche la società a responsabilità semplificata di cui all’art. 2463 bis c.c., seppur con gli accorgimenti che si rendano necessari in ragione della peculiare disciplina che la contraddistingue.” Detta interpretazione è stata successivamente confermata dal CNDCEC con parere n. 262 del 14.03.2016, ritenendo che “solamente le clausole previste nel modello standard tipizzato [previsto all’art. 2463 bis co. 2 c.c.] non sono derogabili e non che il modello standard tipizzato sia inderogabile.” Di diverso avviso invece il Consiglio Nazionale del Notariato, il quale, con nota diffusa il 23.03.2016, in risposta al parere sopra citato, ha escluso detta possibilità, proprio in ragione della peculiare disciplina di inderogabilità prevista dall’art. 2463 bis c.c.